Amore e idealizzazione

Innamorarsi è un evento meraviglioso, caratterizzato da sensazioni ed emozioni che pervadono l’anima, inebriandola di felicità e profondendola di immensa gioia.

In realtà nel processo di innamoramento subentrano dei meccanismi psicologici interni che fanno sì che ci si innamori più dell’immagine interna o rappresentazione mentale che ci formiamo del partner e della relazione, che non della persona reale.

Il primo processo che entra in gioco nella fase dell’innamoramento è la proiezione: tendiamo a trasferire, proiettandole sul partner, caratteristiche, sentimenti, impulsi e pensieri che appartengono solo a noi stessi. Si possono proiettare sull’altro sia aspetti positivi che negativi di noi stessi, ma nella prima fase di innamoramento si tenderà naturalmente a proiettare i primi. Così può succedere che se noi ci riteniamo persone sensibili, al partner verrà attribuita, acriticamente ed irrazionalmente, questa caratteristica di sensibilità interiore che magari egli è ben lungi dal possedere.

Sempre per il meccanismo di proiezione, può succedere che il provare interesse verso una persona ci faccia credere erroneamente che sia l’altro ad essere interessato a noi . Questo avviene perché abbiamo proiettato sull’altro i nostri sentimenti interni, di trasporto e coinvolgimento, aspettandoci di essere corrisposti. D’altronde sarebbe difficile ammettere a se stessi che l’altro non sia interessato a noi:  la sola idea di un eventuale rifiuto intaccherebbe la nostra autostima. A livello inconscio, l’essere umano cerca di proteggere il suo senso di sicurezza interiore da ogni attacco potenziale alla sua autostima attraverso delle difese psichiche. Conseguentemente, proprio a causa della proiezione, interpretiamo i messaggi verbali e non verbali dell’altro come evidenti- ma illusorie- manifestazioni del suo interesse nei nostri confronti.

Nell’innamoramento subentra un altro meccanismo: l’idealizzazione. Se non si verifica l’idealizzazione  del partner non ci si sente innamorati. Ma vediamo più in dettaglio di cosa si tratta.

Tutti noi abbiamo internamente un’immagine interiore di perfezione, bellezza e  armonia mitizzati. Questa immagine interna definita come “ideale dell’Io”, contempla l’idea esaltata di come vorremmo essere e contribuisce alla stima, sicurezza e fiducia che riponiamo in noi stessi. ,.

Sigmund Freud con  «ideale dell’Io» nel 1914 (in Introduzione al narcisismo) allude all’illusione della perfezione narcisistica della prima infanzia. Nel bambino l’onnipotenza rappresenta una normale fase evolutiva: egli pensa di essere unico, speciale e di essere in possesso di poteri straordinari  che gli consentono di realizzare qualsiasi cosa. Quando il bambino si rende conto di non essere in grado di corrispondere a tale modello di perfezione, tenta di riconquistarlo come ideale: «Ciò che egli proietta davanti a lui come ideale è il sostituto per il perduto narcisismo della sua infanzia in cui egli era il suo ideale». L’ideale dell’Io si forma quando il bambino è costretto, dalle frustrazioni dell’ambiente, ad abbandonare il proprio originario senso di  onnipotenza che  successivamente proietta sui genitori. L’ideale dell’io si viene a plasmare attraverso le dinamiche relazionali tra il  bambino ed i suoi genitori, in una complessa trama di identificazioni e rispecchiamenti reciproci.

In età adulta, se la persona si distacca dal modello interno del proprio ideale dell’Io, sperimenterà vergogna ed umiliazione.

Nella formazione dell’ideale dell’Io una grossa influenza l’hanno assunta le aspirazioni e le aspettative che le figure genitoriali hanno riposto su di  noi. Ad esempio, se per un padre è stato molto importante che la figlia fosse autonoma ed indipendente, l’ideale dell’Io della figlia sarà basato sull’equazione interna che per raggiungere la perfezione e stimarsi, sia indispensabile acquisire autonomia ed indipendenza, pena un profondo senso di disistima e di sfiducia nelle proprie capacità. Questa figlia potrebbe innamorarsi di un uomo che le rimandi, in una rete di rispecchiamenti e identificazioni reciproche, questa idea di autonomia e indipendenza.

Non solo le aspirazioni genitoriali, ma anche gli aspetti idealizzati del padre e della madre hanno contribuito alla costituzione dell’Ideale dell’Io. I bambini, infatti, sopravvalutano le caratteristiche dei propri genitori considerando, ad esempio,  il proprio padre come il più forte del mondo e la propria madre come la più bella. Anche queste idee di forza e bellezza, attribuite ai genitori, entreranno a far parte dell’ideale dell’Io .

Cosa avviene quando ci innamoriamo? Nel processo dell’innamoramento, il partner viene situato al posto di un proprio inaccessibile ideale dell’Io e, conseguentemente,  viene  amato per le caratteristiche di perfezione che noi ambiamo perseguire, più che per le sue reali qualità. Il partner viene irrazionalmente  considerato quasi come una divinità , ciò che di più magnifico esiste, mentre il soggetto innamorato viene depauperato e reso inferiore di fronte a questa entità suprema.

Il partner su cui riversiamo -attraverso la proiezione- sentimenti , impulsi, pensieri e caratteristiche che appartengono solo a noi, si colloca al posto dell’ideale dell’io. Proprio come da piccoli ritenevamo eccezionali e speciali dapprima noi stessi e successivamente i nostri genitori, ora è il partner ad essere idealizzato e investito di caratteristiche sopravvalutate, di  bellezza e perfezione assolute, che egli nella realtà non possiede. Nel processo di idealizzazione ci innamoriamo anche dell’ immagine interna che l’altro ci rimanda. Ci sentiamo attraenti, o bisognosi, o speciali, perché questa è la rappresentazione mentale, voluta e idealizzata, che desideriamo l’altro possegga di noi. E’di questa fantasia di relazione perfetta ed agognata che ci innamoriamo, rappresentazione immaginaria in cui l’altro è eccezionale e noi siamo straordinari perché in relazione con questo essere divino che ci rimanda, a sua volta,  l’immagine idealizzata di noi stessi.

L’ idealizzazione del partner è un processo normale nell’innamoramento ma, mentre nelle persone mature ed evolute psicologicamente, gli aspetti idealizzati del partner non si discostano troppo dalle sue caratteristiche reali, nelle persone con problematiche affettive e relazionali l’idealizzazione del partner è chimerica ed utopistica e molto lontana dalle qualità reali che l’altro possiede. Così avverrà che terminata la fase “acuta dell’innamoramento”- ed è fisiologico che questa avvenga in un rapporto affettivo- la persona sana proverà ancora coinvolgimento e interesse per il compagno perché l’idealizzazione non si è basata su aspettative totalmente irrealistiche e prive di fondamento. Mentre nella persona affettivamente e sentimentalmente immatura, conclusa la fase di intenso coinvolgimento che contraddistingue l’innamoramento, entrerà in gioco un altro meccanismo, complementare ed antitetico  rispetto all’idealizzazione: la svalutazione. Quest’ultima è una difesa psichica tipica dei disturbi borderline e narcisistico ed è caratterizzata dalla degradazione, dallo svilimento ed umiliazione dell’altro. Nel momento in cui le aspettative riposte nel partner si scontrano con una realtà deludente ed insoddisfacente,  l’altro viene sminuito nel suo valore, non solo a livello intrapsichico e interiore,  ma spesso anche attraverso comportamenti manifesti di offese e denigrazioni verso il compagno, volti, contemporaneamente, a sminuire l’altro e ed esaltare il soggetto. Più l’idealizzazione è stata preponderante e illusoria nella fase dell’innamoramento, maggiore sarà la svalutazione. L’esito di questo processo consiste solitamente in una fine ingloriosa e conflittuale della relazione stessa. Anzi, il soggetto proverà astio e rancore nei confronti del compagno, visto alla stregua di un persona spregevole.  Il soggetto si sentirà tradito nelle aspettative che l’altro non ha realizzato e corrisposto. In realtà l’altro è sempre stato lo stesso, è solo la prospettiva con cui il soggetto lo ha visto che è cambiata.

Per vivere una vita sentimentale ed affettiva appagante è necessario essere realistici sulle aspettative che si nutrono nei confronti dell’altro. Il partner ideale non esiste, esistono solo persone con cui condividiamo maggiori interessi e con cui entriamo più facilmente in empatia. Chi ambisce a un partner bellissimo, famoso e di successo, sta solo proiettando all’esterno aspetti mai raggiunti del proprio Ideale dell’Io. Se anche costui dovesse incontrare una persona siffatta, la svalutazione entrerebbe in scena molto rapidamente perché la perfezione è solo divina, mai umana, e la realtà del quotidiano inevitabilmente paleserebbe i difetti e le carenze dell’altro.

Chi invece considera il partner ideale come la persona che la fa sentire compresa, accolta, considerata e amata, è sulla strada giusta per affrontare la fase evolutiva della relazione in cui l’intenso coinvolgimento iniziale del rapporto finirà. Il partner, scelto in base ai requisiti di capacità di comprensione e di ascolto, rappresenterà sempre quel compagno con cui condividere complicità, sintonia e affinità.

La coppia gay: caratteristiche e difficoltà

Un aspetto che merita considerazione per la sua attuale diffusione è la vita sentimentale degli omosessuali. Sono sempre più numerose le coppie gay che emergono allo scoperto. Tuttavia nel percorso di costruzione della propria identità di coppia, gay e lesbiche devono affrontare problematiche diverse e specifiche, rispetto alle coppie eterosessuali. L’accettazione sociale della coppia rappresenta il maggior ostacolo, ma non l’unico, nel vivere una relazione omosessuale affettivamente appagante.

Nella mia esperienza professionale con gay e lesbiche ho riscontrato che in generale gli omosessuali maschi non si dichiarano soddisfatti della loro vita sentimentale e la motivazione viene indicata nella loro condizione di single e nel non riuscire a trovare il partner adatto.

I gay maschi tendono ad avere un numero molto elevato di partner sessuali. Essi sono più propensi ad agire sessualmente durante il processo del coming out, ossia quando scoprono la loro identità sessuale: per molti maschi l’atto sessuale ha la funzione di accelerare una serie di processi psicologici che solo in un momento successivo saranno portati alla piena consapevolezza. Le donne, invece, sono più portate a rispondere a questa fase di scoperta della propria omosessualità con la riflessione e il ritiro in se stesse. Per le lesbiche, le esperienze omosessuali si sono manifestate come naturale conseguenza della presa di coscienza della propria sessualità, vissuta nel momento in cui è già stata elaborata interiormente.

Le relazioni sentimentali delle lesbiche sono tendenzialmente più durature di quelle dei maschi. Per molti gay, infatti, risulta particolarmente difficile intraprendere una relazione omosessuale che duri più di qualche mese. I gay dichiarano che la motivazioni principale della loro insoddisfazione sentimentale e della difficoltà ad intraprendere una relazione omosessuale duratura, è da ricondursi al proprio carattere ed alla propria incapacità a costruire una stabilità affettiva.

Vi è  una differenza fondamentale tra gay e lesbiche nel tipo di relazioni omosessuali che sviluppano: in accordo ai tradizionali stereotipi sui ruoli sessuali, i maschi tendono a sessualizzare le loro relazioni, ad essere competitivi, autonomi e indipendenti, piuttosto che intimi. Le donne, invece, essendo socializzate per sviluppare ed esprimere l’intimità, presentano maggiori nel gestire la propria autonomia e la propria individualità nel rapporto.

I problemi nelle relazioni tra gay emergano, quindi,  precocemente nel momento in cui due uomini si trovano a dover lottare per sviluppare il senso di essere una coppia e per cercare di contenere la propria tendenza centrifuga verso la competizione e l’indipendenza (Garnets e Kimmel, 1993). Nelle relazioni tra gay, può  esserci una tendenza ad enfatizzare gli aspetti sessuali della relazione, può inoltre instaurarsi tra i due partner una lotta per chi detiene il potere ed un disaccordo sulle modalità in cui avviene l’esternazione delle proprie manifestazione affettive, percepite , a volte, come una minaccia alla propria autonomia. Se i due partner riescono a sviluppare una maggiore capacità di intimità e di cooperazione reciproca, i problemi di autonomia e competitività diminuiscono con il tempo.

Tra le lesbiche, invece,  è più facile che si instauri prima, rispetto alle coppie gay, una relazione basata sulla forza e sulla consapevolezza dell’unione. La sensazione di essere una coppia, per le lesbiche, spesso emerge prontamente e con considerevole vigore. Nelle fasi più avanzate della relazione, possono presentarsi dei problemi se l’autonomia e l’individualità non controbilanciano le spinte verso la dipendenza e la fusione con la partner.

Pertanto la tendenza a sessualizzare le proprie relazioni, i problemi relativi all’indipendenza, all’autonomia, al desiderio di comandare il partner nel rapporto di coppia, il disaccordo sulle modalità in cui avviene l’espressione della propria sessualità ed affettività, possono spiegare l’ incapacità dei gay ad instaurare delle relazioni omosessuali durature. Invece, la forza e la consapevolezza dell’unione, la tendenza alla fusione ed alla simbiosi delle coppie lesbiche, spiega perché le relazioni omosessuali femminili abbiano spesso una considerevole durata e stabilità.

Un’altra motivazione per cui le relazioni lesbiche hanno una durata superiore a quelle gay, è la constatazione del fatto che l’omosessualità femminile venga socialmente più accettata e meno discriminata rispetto all’omosessualità maschile: la società consente alle donne una più ampia flessibilità nelle interazioni comportamentali ed emozionali con altre donne. Gli uomini, al contrario, vengono limitati nei loro contatti interpersonali con altri maschi dai ristretti modelli di espressione emotiva prescritti dalla società.

In conclusione sono molteplici i fattori di minaccia nella stabilità di una coppia gay, ma ciò non vuol assolutamente indicare che i gay siano incapaci di stabilire relazioni affettive durature ed appaganti. Per raggiungere questo importante traguardo esistenziale essi devono innanzitutto elaborare i propri conflitti interiori relativi all’eccessivo bisogno di autonomia e di indipendenza nella coppia ed essere capaci di scendere a compromessi con il proprio partner, negoziando continuamente gli spazi  e le libertà di ciascuno nella relazione.  La capacità di superare la sensazione interiore di intrusione ed invasione della propria intimità quando il partner tenta di instaurare una relazione più profonda e vincolante, unita alla ferrea volontà di lottare contro i pregiudizi sociali, rappresentano la condizione essenziale per la stabilità e la riuscita della coppia gay.

Attaccamento e coppia

La relazione primaria madre-bambino rappresenta il prototipo delle future relazioni d’amore. La relazione con le figure genitoriali dell’infanzia condiziona e determina il nostro  modello di attaccamento, ossia il modo in cui ci predisponiamo a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, a vivere tutte le relazioni future, comprese quelle di coppia.

L’attaccamento- descritto da Bowlby- è una predisposizione biologica, innata ed evoluzionistica a ricercare la vicinanza del genitore e si esprime con la ricerca del contatto e il mantenimento della vicinanza fisica alla figura di attaccamento, l’ansia e la protesta quando questa si allontana. Ci sono quattro diversi modelli di attaccamento al genitore che influenzano le nostre relazioni sentimentali: l’attaccamento sicuro, insicuro ambivalente, insicuro evitante e disorganizzato.

 

Attaccamento sicuro

L’attaccamento sicuro è caratterizzato da un sentimento di fiducia e sicurezza nei confronti del genitore. Il bambino apprende che la madre soddisferà i suoi bisogni di nutrizione, protezione, contatto fisico, rassicurazione negli stati di tensioni. Egli ha interiorizzato l’ oggetto interno: sa che se la madre sparisce dal suo campo visivo, tornerà per accudirlo e non lo abbandonerà. Grazie a questa fiducia nella responsività del genitore, l’individuo si sente sereno nell’esplorare l’ambiente: può giocare in tranquillità con i coetanei, sperimentare nuove situazioni senza essere assalito dall’angoscia ed avventurarsi libero da paure e condizionamenti nel viaggio della vita. La madre in grado di instaurare un modello di attaccamento sicuro, è la madre “sufficientemente buona” descritta da Winnicott: ossia è un soggetto che ha sviluppato consapevolezza di sé e delle proprie emozioni nel ricoprire il ruolo materno. Ella è amorevole e  accudente nei confronti del figlio, ma al tempo stesso non è intrusiva ed invischiante: quando il bambino non manifesta bisogni, lo lascia libero di costruirsi un’identità autonoma e separata da lei, senza intervenire costantemente ed inopportunamente, soffocandolo ed invadendolo.

 

Attaccamento sicuro e relazioni sentimentali

Nelle relazioni sentimentali il bambino che ha sviluppato un attaccamento sicuro sarà in grado di dare e ricevere amore poiché ha interiorizzato entrambi i ruoli: come la madre ha dato tutto per lui, ora egli nella coppia, identificatosi nelle funzioni materne, è pronto a dare, accudire e proteggere il compagno, ma al tempo stesso sa ricevere cure e amore da questi, senza che ciò pregiudichi il suo senso di indipendenza e di autonomia. Inoltre, come da piccolo aveva fiducia che la madre sarebbe tornata da lui, non lo avrebbe abbandonato, nella relazione sentimentale ha fiducia che il partner non lo abbondi e gli sia fedele. Le persone sicure hanno una visione di sé e dell’altro positive, sono ottimiste e fiduciose e si abbandonano facilmente all’intimità e alla dipendenza dagli altri. Sono accoglienti, sincere ed altruiste. La fiducia e la capacità di donarsi è alla base della possibilità di innamorarsi e di far innamorare (Hazan, Shaver, 1995).

Le persone sicure preferiscono generalmente una relazione affettiva con chi è altrettanto sicuro e pertanto in grado di rispondere in maniera adeguata ai propri bisogni emotivi. Hanno una notevole capacità di negoziare posizioni e conflitti; descrivono le loro storie d’amore come felici, amichevoli e basate sulla reciproca fiducia; esprimono la loro capacità di accettare e sostenere il partner, malgrado i suoi difetti, ed hanno relazioni più durature e stabili.

 

L’attaccamento insicuro – ambivalente

L’attaccamento insicuro – ambivalente è invece caratterizzato da un’ambivalenza di fondo nel rapporto con il genitore, un sentimento di amore e odio. Se la madre ha dei problemi propri, irrisolti, vivrà questa primissima relazione con il figlio in modo ambivalente: ella tema inconsciamente di essere logorata da questo piccolo essere così pretenzioso ed esigente che può manifestare in modo palese e disinvolto i propri bisogni. Quindi da una parte vizierà il suo bambino fino a soffocarlo, ma poi, all’insorgere della sensazione di essere da lui consumata, lo frustrerà bruscamente ed in modo eccessivo. Se la madre vizia in modo esagerato il piccolo e lo soffoca, egli non impara a sapere attendere e non acquisisce la fiducia che dopo lo stato di tensione, dolore e bisogno seguirà la soddisfazione e l’allentamento della tensione. Il bambino apprende un sentimento di sfiducia, diffidenza ed inaffidabilità nei confronti del genitore, a volte è amorevole e disponibile, a volte è inspiegabilmente frustrante, cattivo, assente, distaccato, oppressivo, asfissiante. Egli stesso quando il genitore è amorevole e accudente si sentirà buono, quando il genitore è rifiutante o intrusivo si percepirà cattivo.

 

L’attaccamento insicuro – ambivalente e relazioni sentimentali

Queste sensazioni di diffidenza, ambivalenza verso se stessi e verso l’altro, si estenderanno nel rapporto con il partner. Anch’egli infatti sarà percepito a volte amorevole, altre detestabile, si sospetterà continuamente di lui, si temerà sempre che l’altro possa interrompere inaspettatamente la relazione o che possa tradire. Per un deficit di autostima e una negativa percezione di se stessi, non ci si sente degni di amore e di cure e si dubita del proprio valore.

I soggetti con attaccamento insicuro-ambivalente sono individui che spesso non si sentono capiti, nutrono costantemente la paura di essere lasciati dal partner o di non essere amati, hanno scarsa fiducia in se stessi e nell’altro. Nelle relazioni affettive sono dipendenti e non riescono a manifestare esplicitamente i propri bisogni perché il fulcro delle loro dinamiche relazionali è il timore della perdita o del rifiuto.

Nel vivere un rapporto di coppia evidenziano grandi difficoltà a causa del loro conflitto  inconscio tra il bisogno simbiotico di fondersi con il partner e l’angoscia che la realizzazione di questa fusione comporta. Da ciò derivano le loro esplosioni di rabbia, le scenate di gelosia e i sospetti sulla presunta inaffidabilità e distanza emotiva del compagno. I loro sforzi di dare vita a relazioni significative sono governati, emotivamente, dal senso della perdita e dall’insicurezza.

Si innamorano facilmente, ma ritengono arduo incontrare il vero amore, vissuto come un qualcosa di alternante e discontinuo. Vivono l’amore come un’ossessione, caratterizzato da alti e bassi emotivi, da una intensa attrazione sessuale e da forti sentimenti di gelosia nei confronti del partner.

 

L’attaccamento evitante

Nell’attaccamento evitante, la madre è poco responsiva nei confronti dei bisogni di contatto fisico manifestati dal bambino:  non lo abbraccia, non lo coccola, non lo rassicura fisicamente nei momenti di tensione. Ha un atteggiamento freddo e distaccato, si preoccupa solo di soddisfare i bisogni fisici di nutrizione e di igiene del bambino, trascurando quelli emotivi. Sprona il figlio a un’autonomia e indipendenza precoci, attribuendo un’importanza esagerata all’ autosufficienza .Il bambino impara a tranquillizzarsi da sé poiché ha capito che non può aspettarsi il conforto dal genitore. Per attuare questo processo di auto-rassicurazione, il soggetto blocca e congela le proprie emozioni e si distanzia sempre più dal mondo emozionale: ciò che conta è la razionalità, le emozioni sono potenzialmente pericolose, aspettarsi qualcosa dall’altro rende fragili e vulnerabili ed è preferibile cavarsela da soli.

 

L’attaccamento evitante e le relazioni sentimentali

Quando questo modello di attaccamento si estende nelle relazioni sentimentali, si preferirà instaurare rapporti superficiali, in cui non lasciarsi coinvolgersi eccessivamente. Si desidererà interporre un muro invalicabile tra sé e l’altro, preservando i propri spazi di libertà e autonomia. E’ frequente la scelta di vivere relazioni di coppia in cui ognuno vive separatamente, considerando la convivenza e il matrimonio come un legame di vicinanza ed intimità eccessive, che non si è in grado di sostenere poiché in conflitto con il proprio bisogno di indipendenza emotiva.

I soggetti con attaccamento insicuro – evitante sono caratterizzati dal timore dell’intimità, da alti e bassi emotivi, da sentimenti di gelosia nei confronti del partner. Tendono a scegliere come compagni persone a loro simili: il loro rapporto ha buone possibilità di reggere per un lungo periodo, considerata  la reciproca necessità di mettere le distanze e il bisogno di coinvolgersi il meno possibile.

Sono individui che hanno una valutazione di sé positiva ma una considerazione negativa dell’altro: il bisogno di proteggersi dalle delusioni porta a evitare le relazioni troppo ardenti e passionali ed a preservare un sentimento di indipendenza e di inattaccabilità, enfatizzando l’autonomia e la fiducia in se stessi. Le persone evitanti affermano, spesso, di non essere mai stati innamorati e considerano le loro storie d’amore come poco intense.
L’attaccamento disorganizzato

Infine, l’ultimo modello di attaccamento è quello definito “disorganizzato”. E’ il prototipo relazionale più patologico e pericoloso per l’equilibrio psichico del soggetto, connota frequentemente l’attaccamento di soggetti borderline o con disturbi della personalità. Il genitore è spesso abusante, svalutante, totalmente incoerente e inadempiente rispetto al ruolo genitoriale. Suscita nel figlio risposte di paura e angoscia. Tuttavia il piccolo non può fare a meno del genitore e gli si lega affettivamente, nonostante gli abusi e le minacce subiti. Il bambino sviluppa l’attaccamento e desidera la vicinanza affettiva proprio da chi gli fa paura e lo angustia. La confusione che deriva dai sentimenti di amore e paura indirizzate alla figura di attaccamento, fanno sì che il soggetto sia totalmente incapace di interiorizzare un’immagine interna tranquillizzante e rassicurante di sé e dell’altro. Sia il sé che l’altro sono percepiti come cattivi.

 

L’attaccamento disorganizzato e le relazioni sentimentali

Quando questo modello di attaccamento si estende alla vita di coppia, dà luogo a relazioni altamente disfunzionali del tipo vittima- carnefice, sadico-masochista.

Gli individui disorganizzati sono vittime della loro stessa contraddizione e discontinuità e difficilmente riescono ad essere accettati come partner sentimentali, se non da chi possieda simili peculiarità. Avvertono un profondo conflitto tra il bisogno di conservare legami intimi, morbosi, di coinvolgimento fusionale con il partner e la necessità simultanea di tenerlo a distanza per evitare la minaccia dell’abbandono con le conseguenti sofferenze emotive. La relazione sentimentale viene esperita in modo conflittuale, causando una forte angoscia che non si è in grado di sostenere.

 

La relazione curativa e la consapevolezza

In definitiva il modello di attaccamento che abbiamo interiorizzato nell’interazione con le figure genitoriali condiziona e determina significativamente il modo in  cui viviamo i legami sentimentali. Tuttavia, possedere un modello di attaccamento insicuro (evitante o ambivalente) non significa necessariamente essere destinati a vivere per sempre relazioni d’amore insoddisfacenti e frustranti. I soggetti con attaccamento insicuro possono evolvere e modificare in senso migliorativo la loro modalità relazionale disfunzionale. Ciò avviene sia in seguito a legami affettivi con partner sicuri, in grado di disconfermare le loro percezioni negative di sé e dell’altro, sia in seguito ad un percorso di consapevolezza delle proprie dinamiche affettive inconsce.

Se da una parte ogni rapporto affettivo ha un valore intrinsecamente benefico e curativo per gli individui coinvolti nella relazione, la consapevolezza di sé e delle proprie dinamiche affettive, rappresenta la via di accesso all’autorealizzazione in campo sentimentale.

Chi sa vivere bene in coppia?

La relazione primaria madre-bambino rappresenta il prototipo delle future relazioni d’amore. La relazione con le figure genitoriali dell’infanzia condiziona e determina il nostro  modello di attaccamento, ossia il modo in cui ci predisponiamo a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, a vivere tutte le relazioni future, comprese quelle di coppia.

L’attaccamento sicuro è caratterizzato da un sentimento di fiducia e sicurezza nei confronti del genitore. Il bambino apprende che la madre soddisferà i suoi bisogni di nutrizione, protezione, contatto fisico, rassicurazione negli stati di tensioni. Egli ha interiorizzato l’ oggetto interno: sa che se la madre sparisce dal suo campo visivo, tornerà per accudirlo e non lo abbandonerà. Grazie a questa fiducia nella responsività del genitore, l’individuo si sente sereno nell’esplorare l’ambiente: può giocare in tranquillità con i coetanei, sperimentare nuove situazioni senza essere assalito dall’angoscia ed avventurarsi libero da paure e condizionamenti nel viaggio della vita. La madre in grado di instaurare un modello di attaccamento sicuro, è la madre “sufficientemente buona” descritta da Winnicott: ossia è un soggetto che ha sviluppato consapevolezza di sé e delle proprie emozioni nel ricoprire il ruolo materno. Ella è amorevole e  accudente nei confronti del figlio, ma al tempo stesso non è intrusiva ed invischiante: quando il bambino non manifesta bisogni, lo lascia libero di costruirsi un’identità autonoma e separata da lei, senza intervenire costantemente ed inopportunamente, soffocandolo ed invadendolo.

Attaccamento sicuro e relazioni sentimentali

Nelle relazioni sentimentali il bambino che ha sviluppato un attaccamento sicuro sarà in grado di dare e ricevere amore poiché ha interiorizzato entrambi i ruoli: come la madre ha dato tutto per lui, ora egli nella coppia, identificatosi nelle funzioni materne, è pronto a dare, accudire e proteggere il compagno, ma al tempo stesso sa ricevere cure e amore da questi, senza che ciò pregiudichi il suo senso di indipendenza e di autonomia. Inoltre, come da piccolo aveva fiducia che la madre sarebbe tornata da lui, non lo avrebbe abbandonato, nella relazione sentimentale ha fiducia che il partner non lo abbondi e gli sia fedele. Le persone sicure hanno una visione di sé e dell’altro positive, sono ottimiste e fiduciose e si abbandonano facilmente all’intimità e alla dipendenza dagli altri. Sono accoglienti, sincere ed altruiste. La fiducia e la capacità di donarsi è alla base della possibilità di innamorarsi e di far innamorare (Hazan, Shaver, 1995).

Le persone sicure preferiscono generalmente una relazione affettiva con chi è altrettanto sicuro e pertanto in grado di rispondere in maniera adeguata ai propri bisogni emotivi. Hanno una notevole capacità di negoziare posizioni e conflitti; descrivono le loro storie d’amore come felici, amichevoli e basate sulla reciproca fiducia; esprimono la loro capacità di accettare e sostenere il partner, malgrado i suoi difetti, ed hanno relazioni più durature e stabili.

La collusione nella coppia

La collusione amorosa è una relazione di coppia basata su una sostanziale intesa nevrotica tra i partner. E’ un tipo di legame disfunzionale, di cui i partner non possono fare a meno: si preferisce portare avanti un’unione che genera sofferenza e che blocca le potenzialità di crescita individuali, piuttosto che lasciare il compagno e vivere l’esperienza dell’abbandono e della solitudine.

Perché un individuo dovrebbe legarsi ad un partner che gli ingenera tanto dolore? Perché costui appaga propri bisogni inconsci e rimossi in un’ eterna coazione a ripetere, in cui i traumi sperimentati nell’infanzia nel rapporto con le figure parentali, si perpetuano nel presente attraverso il legame sentimentale.

I QUATTRO TIPI DI COLLUSIONE NEVROTICA DI COPPIA

Esistono sostanzialmente quattro tipi di collusione nevrotica di coppia, tutti risalenti alle fasi di sviluppo psicosessuale dell’infanzia e ripercorrenti le tappe evolutive e di relazione con le figure genitoriali: la collusione narcisistica con la tematica dellamore come fusione e conferma di sé e del proprio valore;  la collusione orale con la tematica della amore come cura e dedizione materne; la collusione anale dell’ amore come possesso e dominio sull’altro; la collusione edipico-fallica dell’amore come conferma maschile e come ripetizione del rapporto con i genitori.

E’ chiaro che per descrivere le seguenti tipologie collusive, dovrò, per sintetizzare, rifarmi a delle situazioni tipiche ed esemplari, schematizzando e generalizzando eccessivamente la realtà delle relazioni di coppia che, per sua natura, è complessa e variegata.

La collusione narcisistica : l’amore come fusione e conferma di sé

Il primo tipo di collusione, quella narcisistica, è forse la più patologica perché si instaura tra due individui che non hanno una chiara definizione del Sé e della propria identità. Per questi soggetti il rapporto di coppia è funzionale alla ricerca di una conferma del proprio valore e della propria autostima attraverso il partner. E’ un tipo di unione che si instaura di solito tra una personalità di tipo narcisistico- che cerca un compagno che lo ammiri e che gli rimandi un’immagine di Sé idealizzata- e un partner, con scarsissima stima di sé, che vede nell’altro una conferma riflessa del proprio valore. Tuttavia per il narcisista l’altro non esiste come essere autonomo, dotato di iniziative e volontà proprie, ma viene concepito soltanto solo come prolungamento, estensione di sé. Il partner del narcisista che non si stima affatto e si disprezza, vive il legame con questo essere vanaglorioso, egocentrico, come funzionale alla propria carenza di autostima:  ora egli può brillare di luce riflessa, può considerarsi  una persona di valore, in virtù della relazione instaurata con un compagno brillante e (apparentemente) sicuro di sé. Nessuno dei due in questa relazione cresce e matura: il narcisista non affronta la tematica inconscia e repressa relativa alla difficoltà di trovare l’autostima in se stesso senza aver bisogno di continue conferme da parte dell’altro, il partner dipendente nega a se stesso il bisogno di sviluppare il proprio Sé in modo autonomo, senza considerarsi un appendice del compagno.

 

La collusione orale: amore come cura e dedizioni materne.

Un altro tipo di collusione è quella orale, che nasconde l’idea che l’amore significa dedizione assoluta e materna all’altro; si instaura tra un partner che, negando i propri bisogni di dipendenza dagli altri, tenta disperatamente di salvare e aiutare il compagno bisognoso, proprio come se fosse una madre accudente ed amorevole nei confronti del suo bambino. Il partner che riceve tutte le attenzioni, senza nulla dare in cambio, si pone invece nella posizione regressiva di poppante bisognoso di cure che non può e non vuole contraccambiare ciò che gli è offerto, negando le proprie potenzialità di autonomia e indipendenza. Anche in questo caso entrambi si negano una possibilità evolutiva: il partner in posizione materna nega a se stesso la possibilità di esprimere e manifestare la propria debolezza, fragilità e dipendenza; il compagno bambino si preclude la possibilità di diventare un adulto autonomo, che non solo riceve, ma che può anche dare in un rapporto.

 

La collusione anale: l’amore come possesso e dominio sull’altro

Venendo ora alla collusione anale, essa nasconde l’idea che amare significhi possedere e controllare interamente l’altro, che scendere a compromessi rappresenti la perdita della propria autonomia. Il conflitto centrale è tra dipendenza e autonomia. Le collusioni cui questa tematica dà luogo sono quelle relative alle coppie antitetiche e complementari di dominante e dominato, sadico e masochista , infedele  e geloso. Vi è inoltre un tipo di collusione simmetrica “dominante –dominante” che sfocia nella lotta per il potere nella coppia.

Nella collusione dominante/dominato il primo cercherà di sottomettere ed assoggettare il compagno cercando persino di controllarne i pensieri. Il partner complementare rivestirà passivamente il ruolo di soggiogato e succube. Egli delegherà al partner i propri bisogni inconfessati di autonomia perché essere indipendenti e autonomi, significa inconsciamente mettere a rischio il legame ed andare incontro alla temuta esperienza dell’abbandono. Spesso però chi accetta il ruolo passivo lo fa solo in apparenza: per ritrovare la propria autonomia rinnegata ma al tempo stesso agognata, terrà nascosti al partner conti bancari segreti o relazioni extraconiugali. Il dominante, per la propria inconscia paura di essere sottomesso e dipendente, riverserà sul partner un maggior controllo, dispotismo e tirannia.

La collusione sadomasochistica è una forma esasperata della precedente “dominante e dominato”, aggravata da una maggiore aggressività, dalla perversione sessuale e dalla patologia caratteriale di entrambi i partner.

Nella collusione simmetrica rappresentata dalla lotta per il potere nella coppia, entrambi i partner aspirano alla posizione dominante e intendono assumere il controllo dell’altro. Ciò porta a continui litigi, anzi per questa coppia il conflitto è l’unica forma di relazione e spesso la lite diventa un preambolo al rapporto sessuale. Entrambi i partner, nello scontro incessante ed estenuante, percepiscono l’unica forma di soluzione al loro comune conflitto inconscio relativo alla dipendenza e sottomissione dai propri genitori. La lotta coniugale consente loro sia la piacevole esperienza della simbiosi con il partner, sia l’affermazione della propria autonomia e indipendenza dalle figure parentali.

Nella collusione infedeltà – gelosia, il tema centrale è il desiderio di autonomia e l’angoscia di separazione. L’infedele, dietro i propri continui tradimenti, cela un conflitto personale relativo al bisogno di autonomia e indipendenza e la paura di perdersi totalmente nell’altro. Quest’ angoscia, relativa alla  simbiosi e ad un amore fusionale, egli  la proietta sul compagno che così incarna e manifesta le sue stesse paure. Il partner complementare -attraverso la propria gelosia- esprime la sua angoscia di separazione e la paura dell’abbandono e trasferisce sul compagno le proprie fantasie di infedeltà e desideri di emancipazione.

 

La collusione edipico-fallica: l’amore come conferma maschile e ripetizione del rapporto con i genitori.

Nella collusione fallica il conflitto centrale è su chi, tra i due partner, debba ricoprire il ruolo maschile nella coppia. Si instaura generalmente tra un uomo debole e passivo e una donna che inconsciamente brama caratteristiche maschili di emancipazione, autonomia, aggressività. L’uomo, spodestato della sua virilità dalla compagna, presto svilupperà disturbi nella potenza sessuale e la donna lo umilierà e lo offenderà per la sua impotenza, proprio perché ambisce ella stessa ad essere il maschio della coppia.

Nella collusione edipica si ha la tendenza, per conflitti inconsci o irrisolti con i propri genitori, a scegliere un compagno che assomiglia al genitore di sesso opposto o che non gli somigli affatto. Nel primo caso si sarà attratti, ad esempio, da partner molto più grandi per età, cercando di riprodurre nel rapporto di coppia la relazione padre-figlia o madre- figlio. Nel secondo caso, il partner è stato scelto proprio perché non ha nulla in comune con il genitore di sesso opposto. Al genitore tuttavia si è legati in modo ambivalente. Quindi avviene che il partner dopo un un’iniziale attrattiva, nel corso del tempo non susciterà più alcun interesse. Una donna che ami e odi al tempo stesso il padre despota, dopo un po’ non proverà più alcune desiderio nei confronti del marito debole, perché ha bisogno di un compagno che in qualche modo le rimandi l’immagine paterna a cui è legata.

Nella collusione edipica può anche verificarsi che si preferiscano partner già impegnati sentimentalmente dei quali diventare amanti, covando inconsciamente il desiderio di rovinare le relazioni altrui. In questo caso il desiderio inconscio rimosso, conflittuale e simbolico, è quello di distruggere la relazione tra i propri genitori a causa di problematiche irrisolte nel rapporto con questi ultimi.

 

LA COLLUSIONE COME MECCANISMO DI PROIEZIONE E DIFESA

Per concludere, in tutti tipi di collusione analizzati, ciascun partner impersona nel proprio comportamento ciò che l’altro, a livello inconscio, rimuove e nega a se stesso. Attraverso un meccanismo di proiezione, ognuno trasferisce sul partner aspetti negati, rimossi e conflittuali di sé, che sono proiettati sul compagno per meglio difendersene. La collusione, poiché è un meccanismo difensivo, inconsapevole e rimosso, genera dolore e sofferenza agli individui coinvolti in questi “incastri nevrotici”. Essa blocca le possibilità di evoluzione della personalità dei partner e mantiene inconsci i loro conflitti personali irrisolti. Spesso per uscire da queste dinamiche paralizzanti, la soluzione elettiva è rappresentata dalla psicoterapia individuale e/o di coppia.

Le ragioni individuali del tradimento

La società del consumismo di massa, in cui l’ egocentrismo e l’ individualismo assoluti e sconsiderati portano a ritenere interscambiabili i partner, mette al primo posto la soddisfazione dei bisogni individuali piuttosto che quelli di coppia e rappresenta un terreno fertile per il tradimento. Conseguentemente l’infedeltà, collettivamente sempre più tollerata e giustificata, diventa un’esperienza sempre più frequente nelle odierne e fragili coppie.

La propensione al tradimento è una caratteristica individuale e per alcuni l’infedeltà è una tentazione irresistibile, mentre per altri essa rappresenta un atto contro se stessi ed i propri ideali, prima ancora che un’ infrazione nei confronti del partner.

Una premessa indispensabile, parlando di questo argomento, è che prima si tradisce con il pensiero e poi con il corpo. Tradire è sempre una scelta dell’individuo ed esprime un disagio interiore dettato da un’insoddisfazione individuale e/o di coppia, anche quando apparentemente il rapporto sentimentale sembra perfetto.

Sognare di fare sesso con altre persone, fantasticare spesso rapporti extraconiugali, avere la voglia di corteggiare e di sedurre sono segnali predittori che indicano che la coppia non soddisfa più i bisogni individuali.

Il tradimento può rappresentare anche un’occasione di crescita, di evoluzione e di consapevolezza per l’individuo, quando esso esprime la necessità di affermare la propria indipendenza e libertà, lese e infrante all’interno della coppia. Può accadere che si verifichi un cambiamento dello schema di sé e che nel soggetto possano emergere nuovi bisogni che con il partner attuale non sono più soddisfatti: due persone nel corso degli anni possono maturare in modo differente e ritrovarsi inaspettatamente estranei ed incompatibili. Ci si può rendere conto che una relazione castrante e opprimente ha soffocato le necessità soggettive, deprivando di spontaneità e di energia ed allora concedersi un’infedeltà può apparire quasi legittimo.

Bisogna inoltre specificare che in alcune fasi della costruzione del rapporto di coppia il tradimento è più probabile. All’inizio di una relazione sentimentale, quando si è sopraffatti dall’innamoramento, è raro tradire. L’innamoramento rappresenta, infatti, la fase in cui si attivano le nostre proiezioni sul partner: si trasferiscono sull’altro i nostri ideali e le nostre caratteristiche. Per questo il partner ci appare tanto unico e speciale ed essere infedeli a quest’essere divino che incarna così perfettamente i nostri ideali, è un qualcosa che neppure ci sfiora. Quando invece si passa dalla fase passionale dell’innamoramento a quella dell’amore adulto e maturo, l’altro viene visto per quello che è, con tutti i suoi difetti e le sue debolezze. Sopraggiunge il crollo della nostre proiezioni che lasciano spazio alla realtà dell’altro. In questa fase è elevatissima la probabilità di tradire, soprattutto in chi non sa affrontare la delusione della realtà, in chi ha troppo idealizzato il partner e non riesce a sostenere la maturità della costruzione di una coppia, meno idilliaca, ma più stabile, duratura ed appagante.

L’infedeltà, inoltre, assume una valenza diversa e specifica a seconda della fase di vita in cui si manifesta. Nell’adolescenza il tradimento rappresenta il tentativo del soggetto di affermare la propria libertà ed il proprio spazio individuale marcando i confini del sé. L’adolescente esprime inconsciamente un rifiuto della dipendenza dai genitori, attraverso il tradimento del partner che ha preso il loro posto. L’adolescenza è una fase di sperimentazione sessuale ed il tradimento esprime la volontà di affermare la propria autonomia e l’indipendenza in contrasto con l’ unione simbiotica con un partner che richiama un inglobamento nella diade genitoriale. Attraverso l’infedeltà, inoltre, l’adolescente brama la gratificazione narcisistica della conferma del proprio valore e del proprio fascino di cui ha un disperato bisogno in una fase, come questa, di costruzione dell’identità.

Nel giovane adulto che sta formando un nuovo nucleo familiare ed ha assunto degli impegni di convivenza e di costruzione di un progetto di coppia stabile, il tradimento esprime il bisogno interiore di rifuggire dagli impegni e dalle responsabilità che le decisioni assunte nella coppia comportano.

O ancora nella mezza età, dopo anni di matrimonio, il tradimento rappresenta una gratificazione narcisistica nel confermare a se stessi il proprio fascino, nonostante l’età. Così l’uomo adulto cercherà avventure con donne più giovani per attestare a se stesso di essere ancora piacente e per avere la prova di poter rivivere una seconda giovinezza. Per la donna in menopausa il tradimento esplicita la conferma di essere ancora femminile e di poter ancora esercitare un fascino seduttivo, messo in discussione dai cambiamenti biologici ed ormonali che la menopausa comporta.

Sono diverse e soggettive le motivazioni che spingono una persona a tradire nel rapporto di coppia. Si può essere infedeli per noia e routine, per curiosità, per occasione, perché ci si è realmente innamorati o ancora perché si è incapaci di passare dalla fase della passione e dell’innamoramento a quella dell’amore maturo.

Alcune persone vivono il tradimento come un antidepressivo: una sorta di compensazione, funzionale a colmare dei vuoti profondi dettati dalla solitudine o da una perenne insoddisfazione interiore. Per altri ancora l’infedeltà rappresenta una difesa contro la paura di fusione che l’intimità di coppia evoca, oppure esprime il rigetto della sensazione di essere dipendenti dal proprio partner.

Alcuni sono infedeli per vendicarsi del partner, per punirlo delle sue disattenzioni e della sua indifferenza e noncuranza nei propri confronti.

Altri tradimenti si verificano perché si vive nel rapporto di coppia una profonda insoddisfazione sessuale, con l’incapacità di comunicare apertamente al partner che cosa si gradisce sessualmente. Spesso molti tradimenti maschili avvengono in fase di gravidanza della compagna, come conseguenza della deprivazione sessuale a cui si è costretti e più spesso come vendetta inconscia per le attenzione che la partner ora riserva al figlio, trascurando il compagno.

Se la causa del tradimento è un calo della passione per la noia e la routine sopravvenuti nella coppia, una buona capacità di dialogo tra i coniugi, unita alla voglia di entrambi di rinsaldare il legame, potrebbe avere una prognosi favorevole sulla durata della coppia. Diversamente se tra i due l’intesa non è mai stata soddisfacente, è molto più difficile che entrambi i partner accettino una vita di coppia parziale ed incompleta, priva dell’appagamento erotico.

Infine ci sono persone che possono definirsi “traditori seriali” , individui per i quali essere infedeli rappresenta una costante di tutte le loro relazioni. Spesso questi soggetti attuano una scissione tra sessualità e affettività, che diventano due dimensioni inconciliabili nella stessa relazione. Questo accade spesso negli uomini sposati che frequentano prostitute: essi non possono inconsciamente considerare la loro moglie e madre dei propri figli come oggetto del desiderio sessuale perché questo potrebbe riattivare in loro incestuose fantasie edipiche di desiderare sessualmente la propria madre. Così essi si permettono di vivere la dimensione istintuale pulsionale e libidica con delle partner occasionali con cui non vi è coinvolgimento affettivo, mentre la loro moglie rimane inconsciamente intatta e illibata, non “sporcata” dal sesso.

La scissione tra sessualità e affettività non è solo prerogativa maschile, può accadere infatti che anche una donna che viva inconsciamente il proprio compagno come fratello o come padre non possa consentire a se stessa di integrare sesso e amore, indirizzandole verso un unico partner.

La scissione tra sessualità e affettività esprime una patologia relazionale ed un’immaturità affettiva perché l’amore vero non è mai scisso e separato, ma sempre integrato e completo.

In conclusione si può affermare che la società del consumismo sessuale e sentimentale legittima il tradimento. L’ individuo è sempre più predisposto a salvaguardare i propri interessi piuttosto che quelli della coppia, mosso dall’ideologia del “tutto e subito”: se in una relazione qualche dimensione non viene soddisfatta, si ha il diritto a vivere la propria felicità in modo immediato e completo con un altro compagno, anche a costo di mettere in crisi rapporti amorosi di lunga durata. Il sacrificio, l’impegno verso una progettualità di coppia, la volontà di preservare il legame in crisi attraverso il dialogo ed il compromesso, rappresentano oggi aspetti di scarso valore, contrapposti al proprio egoismo ed alla propria onnipotente individualità.

Bisogno e desiderio

“La mancanza di qualcosa che si desidera è una parte indispensabile della felicità”. Questo celeberrimo aforisma di Bertrand Russell ci porta a considerare un fattore fondamentale dell’esistenza umana: quanto sia importante l’appagamento dei desideri per essere felici. Ma prima di affrontare questa tematica è indispensabile operare una distinzione tra bisogni e desideri.

Il bisogno esprime una necessità primaria dell’organismo, la cui mancata soddisfazione non consente di vivere adeguatamente. Il bisogno è collegato a degli stati di tensione che richiedono di essere soddisfatti attraverso un processo di tipo omeostatico; i bisogni -sempre attivi  per tutta la vita- sono non-oggettuali, cioè non sorgono dall’incontro tra l’oggetto e il soggetto.

Il desiderio, al contrario, è sempre connesso ad un oggetto. Non esisterebbe  desiderio senza un oggetto e, allo stesso tempo, non sarebbe concepibile relazionarsi con gli “oggetti” senza il desiderio di essi. Il desiderio è quindi un compromesso tra il soggetto, i suoi bisogni di base e l’ambiente. È dall’incontro dinamico tra il sé e l’ambiente che nascono i desideri. Essi hanno una origine secondaria al bisogno che invece rappresenta la base biologica dell’essere vivente. Tutti i bisogni discendono da due principi: “di conservazione della specie” e “di conservazione dell’individuo”.

Da quanto finora esposto, emerge come bisogni e desideri siano strettamente legati tra loro. I primi sono condizioni comuni a tutti gli esseri umani, mentre la gamma dei secondi è pressoché infinita.

Maslow (1954) nella sua teoria, sostiene che alcuni bisogni vanno soddisfatti prima che nascano quelli del livello successivo. In questa gerarchia, abitualmente rappresentata attraverso un’ipotetica piramide, alla base vi sono i bisogni fisiologici di fame, sete, sonno, di potersi coprire e ripararsi dal freddo. Se questi bisogni fondamentali, connessi con la sopravvivenza, vengono soddisfatti, l’essere umano aspira ai livelli successivi dell’ipotetica piramide, ossia ai bisogni di sicurezza, di appartenenza ad un gruppo,  di stima, e di autorealizzazione. Quest’ultimo è inteso come l’esigenza di realizzare la propria identità e di portare a compimento le proprie aspettative, nonché di occupare una posizione soddisfacente nel proprio gruppo. E’ qui che si inserisce la naturale inclinazione dell’uomo ad affermare se stesso, a manifestare le sue naturali inclinazioni, ad esprimere nell’ambiente tutte le sue potenzialità.

Ma il bisogno di autoaffermazione non è il più evoluto per l’essere umano, infatti, all’ultimo livello della piramide vi è il “bisogno di trascendenza” concepito come tendenza ad andare oltre se stessi, per sentirsi parte di una realtà più vasta, cosmica o divina.

Per esemplificare la distinzione tra bisogni e desideri, mi avvarrò dell’esempio più facile: il bisogno innato e fisiologico di cibo. Il bisogno di essere alimentato, per esempio, apparentemente può corrispondere con il desiderio di cibo. Una sensazione di fame esige naturalmente di alimenti, ma il bisogno è di essere sfamato. Il desiderio connesso all’oggetto che porterà all’appagamento del bisogno, sostituirà l’ esigenza in conseguenza della reiterazione delle esperienze oggettive di regolazione della necessità fisiologica.

Il bambino affamato, attraverso le sue esperienze antecedenti, arriverà quindi ad anelare dapprima l’ individuo che lo ristorerà e, in un secondo tempo, l’oggetto cibo. Se il bisogno e il desiderio convergessero, allora non esisterebbero determinati gusti o preferenze alimentari (é noto tuttavia che i pubblicitari tentano di stuzzicare i nostri desideri più che i nostri bisogni).

Il bisogno ed il suo positivo appagamento sono indispensabili affinché il desiderio sia strumentale alla vita dell’ individuo. Le difficoltà insorgono in caso di soddisfazione inefficace del bisogno di base o appagamento inadatto o parziale di esso.

Un percorso ontologico di desideri successivi al primo male-interpretato, potrebbe distorcere ed allontanare dal bisogno di base che rimarrebbe insoddisfatto, causando uno sviluppo non completamente sano del Sé. I desideri adeguati sorgono nelle condizioni in cui il bisogno sottostante è stato riconosciuto dal soggetto e validamente appagato dall’ambiente circostante ed il processo di sviluppo sia stato meno condizionato da meccanismi difensivi. Un desiderio disfunzionale discende da un ambiente  incapace sia di procurare l’appropriata soddisfazione al bisogno, sia di riconoscerlo.  Il processo di sviluppo è spesso complesso da identificare ed il materiale che ne può consentire la ricomposizione è quasi sempre inconscio, a causa dei meccanismi difensivi. Un esempio di desiderio disfunzionale è la ricerca di cibo in virtù di un bisogno d’attaccamento. L’esperienza dell’abbuffata può accompagnare questa linea di sviluppo.

L’eziopatogenesi di una patologia alimentare come la bulimia può fornire delucidazioni su come avviene la sovrapposizione e la conseguente confusione tra un bisogno e un desiderio. Un bambino avverte la prima sensazione di fame, quindi attraverso il pianto ricerca  l’intervento della madre che lo alimenta in maniera adeguata. L’esperienza si ripete quotidianamente. La madre però, ogni volta che il bambino piange, lo nutre o lo cambia, ma non gioca con lui, non lo accarezza e non lo coccola. Qualsiasi segnale del bambino viene letto dalla  madre come un’ esigenza di essere alimentato. Questa esperienza si reitera nel tempo. Il bambino cresce. Quando è triste o fa i capricci la madre lo calma con un cioccolatino anziché prenderlo in braccio o giocarci. Il bambino inizia a esigere sempre dolci, cioccolatini, che equivalgono a manifestazioni d’affetto suppletive. Il soggetto che esperisce una siffatta situazione, interpreterà una sua necessità di attaccamento, o una sua esigenza esplorativa, come bisogno di cibo. Pertanto, avrà la tendenza a ricercare il cibo piuttosto che l’affetto. Ciò che si è verificato è una sovrapposizione tra il bisogno di attaccamento e il desiderio dell’oggetto dell’attaccamento male-introiettato come cibo. Quindi il bambino potrebbe desiderare cibo per appagare un bisogno completamente differente. La mancata soddisfazione del bisogno originario condurrà ad una ricerca affannosa di cibo come se ci fosse un “buco” da colmare, una lacuna profonda che non possono mai essere veramente riempiti.

Questo meccanismo di insoddisfazione dei bisogni di base e la successiva sostituzione con desideri disfunzionali spiega anche perché spesso le persone si aggrappano ostinatamente e rimangono fedeli a modalità di relazione che provocano loro una gran quantità di dolore e sofferenza.

 

L’essere umano si interfaccia con la realtà esterna attraverso i desideri che soltanto in minima parte sono direttamente accessibili alla coscienza. Rimozione, negazione, ed altri processi difensivi che agiscono nel corso dell’esistenza, tendono a mascherare molti desideri, soprattutto quelli soggettivamente rifiutati, e a occultarli sotto il livello di coscienza. Questo è il fitto  groviglio dei desideri, cioè una densa rete che opera perlopiù senza il barlume della consapevolezza e che, inevitabilmente, influenza e controlla la nostra esistenza, i nostri comportamenti, le nostre relazioni.

I desideri consci rappresentano soltanto ciò che emerge in modo manifesto e quello su cui si basano, in apparenza, molte delle nostre interazioni.

Quando un desiderio è predominante rispetto ad altri, in base ad una scala gerarchica dinamica, altri sono in secondo piano o sullo sfondo.

I desideri hanno la funzione di favorire l’appagamento dei bisogni di base, tale soddisfazione è essenziale affinché l’organismo riesca a vivere.

La salute è influenzata da quanto ogni bisogno sia stato sufficientemente appagato e quindi da come i desideri (di ogni ordine) siano connessi geneticamente a bisogni determinati e più circoscritti. Un desiderio primario può affiorare in qualsiasi fase della vita, non possiede sempre un’ origine infantile.

Il desiderio è  un dispositivo  di cui la natura ci ha dotato per fronteggiare numerose necessità. È ciò che rende così duttile ed flessibile l’essere umano. Se l’individuo per soddisfare le proprie esigenze fosse provvisto di desideri limitati, sarebbe un soggetto dipendente, incapace di agire liberamente e di adattarsi a diversi contesti. Nel corso dello sviluppo del Sé, l’essere umano acquisisce desideri più o meno validi in relazione a fattori evolutivi.

Il desiderio, geneticamente, è successivo al bisogno. Da un medesimo bisogno possono scaturire più desideri. Ogni desiderio primario, a sua volta, diventa origine per altri desideri secondari.

Spesso un desiderio “adulto”, che può apparire scollegato ad un  identificato bisogno di base , è in realtà prodotto da uno di essi. La realizzazione di un desiderio, di qualsiasi natura, rappresenta ineluttabilmente un tentativo di appagamento di uno o più bisogni. Uno stesso desiderio può soddisfare più bisogni simultaneamente, come più desideri differenti possono confluire nell’appagamento di un unico bisogno.

Ciò che si sta verificando da circa un ventennio nella nostra cultura occidentale è il processo di induzione di nuovi desideri. Attraverso i media si circuisce la psiche dell’uomo fino a costringerlo a pensare che l’ oggetto pubblicizzato sia indispensabile. Il desiderio del tal oggetto non è spontaneo, ma indotto, e tuttavia non è meno potente e assume quell’ impellenza tipica dei bisogni.

Nel marketing si  considerano i bisogni come ciò di cui il target necessita da un punto di vista razionale. I desideri sono invece connessi a sfere della psiche molto meno razionali e spesso molto più potenti, tanto da predominare frequentemente sui bisogni

Il cliente, se intende acquistare un automobile, avvertirà probabilmente il bisogno di conoscerne le caratteristiche, le prestazioni, i prezzi,  in modo da poter compiere una scelta razionale tra i vari modelli. Ma il cliente desidera probabilmente anche comunicare qualcosa di sé attraverso quella scelta, come ad esempio attestare il proprio status sociale, sedurre, sentirsi più giovane. In ogni mercato e per ogni prodotto, c’è uno specifico mix di bisogni  e desideri. Questi ultimi sono superflui e non conoscono saturazione, si susseguono all’infinito e non portano mai alla vera felicità, anzi essi determinano una confusione del vivere, una insoddisfazione perenne che non porta mai al vero appagamento.

Il risvolto psicologico del processo di induzione di nuovi desideri deve portarci a questa riflessione: siamo talmente impegnati in ogni istante a soddisfare dei bisogni, naturali o indotti,  che  i desideri hanno soffocato e oppresso inesorabilmente i bisogni. Il risultato è visibile a tutti: la miriade infinita di desideri elicitati a scopo di lucro reprime la vita spirituale-filosofica-riflessiva dell’essere umano

Il narcisismo: una visione psicodinamica

Chi è il narcisista? I Tratti comportamentali del disturbo

Il narcisismo è una patologia sempre più diffusa nell’odierna società occidentale, sia perché la nostra società propone modelli valoriali fondati sull’ individualismo e sull’egocentrismo, sia perché i legami familiari sono sempre più fragili e frammentari, producendo disturbi di personalità narcisistici.

Il disturbo narcisistico è caratterizzato da un senso imperfetto del sé e da una incapacità di tenere un livello stabile di autostima.

A livello comportamentale il narcisista esibisce fantasie infondate ed irrealistiche di essere superiore agli altri e si aspetta per questo, trattamenti speciali, disconoscendo la realtà. E’ un individuo saccente, arrogante e presuntuoso che esterna uni senso di grandiosità, un bisogno illimitato di ammirazione. Egli inoltre, pur essendo sostanzialmente indifferente verso gli altri, e disinteressato ai loro bisogni, è  ipersensibile al loro giudizio poiché tenta disperatamente di trovare conferme alla sua fragile autostima.

Il narcisista si sente esageratamente importante e si aspetta di essere notato, pur senza aver raggiunto una posizione sociale ragguardevole e di successo. Anzi, egli è costantemente immerso in fantasie di successo, potere, fascino e si considera così speciale che solo altre persone o istituzioni speciali possono capirlo o frequentarlo. E’ un soggetto che richiede costante ed eccessiva ammirazione da parte degli altri, pensando che tutto gli sia dovuto e di aver diritto a trattamenti di favore.

Dal punto di vista relazionale sfrutta gli altri per raggiungere i propri scopi e manca totalmente di empatia: non riconosce e non percepisce i sentimenti e i bisogni altrui. E’ inconsapevolmente invidioso, ma ritiene viceversa di essere costantemente invidiato.

In definitiva è un soggetto arrogante e sprezzante, spesso ipercritico ed aggressivo.

DOVE NASCE IL NARCISISMO?

Il narcisismo è un tratto evolutivo sano e normale nello sviluppo dell’essere umano. In forma sana il narcisismo si esprime come sicurezza e fiducia nelle proprie capacità e in un buon livello di autostima, deviazioni dal normale sviluppo evolutivo portano alla forma patologica del disturbo narcisistico di personalità.

Nella strutturazione dell’autostima del bambino, giocano un ruolo fondamentale le figure di accudimento. Il nascente sé infantile è debole e amorfo e necessita di genitori empatici per svilupparsi. La relazione tra il bambino e i suoi genitori è l’elemento di base per lo sviluppo della struttura psichica e dell’autostima.

Il bambino- come afferma Kouth- esprime i suoi due bisogni narcisistici fondamentali e naturali, ossia quello di esibire le sue capacità in via di sviluppo e di essere ammirato per questo e quello di formarsi un’immagine idealizzata dei genitori. La prima forma di narcisismo rappresenta il sano senso di onnipotenza e grandiosità del bambino (“sono perfetto e tu mi ammiri”); la seconda forma narcisistica esprime invece il bisogno di sperimentare un senso di fusione con il genitore idealizzato (“sono perfetto e sono parte di te”). Tutti i fallimenti del genitore nel rispecchiare questi bisogni narcisistici del figlio, andranno a determinare ferite permanenti nel nucleo dell’autostima che il soggetto costituirà. Il genitore ipercritico e svalutante nei confronti del figlio, oppure che si mostra assente e indifferente rispetto al suo ruolo genitoriale o ancora caratterizzato da debolezze e fragilità caratteriali che non gli consentono di porsi come una valida figura di riferimento con cui il figlio può identificarsi e idealizzare, sono potenzialmente in grado di determinare un disturbo narcisistico.

Il sé grandioso ed il sé idealizzato del bambino andranno infatti a formare i due poli permanenti della strutturazione della personalità, entrambi fondamentali per la formazione di un sé sano e coeso e dell’autostima: la tendenza alla grandiosità, all’esibizionismo, espressa come sana ambizione e sicurezza di sé e la capacità di  idealizzare, che si manifesta con la formazione di un solido e salutare sistema di  principi e valori morali.

Un disturbo in uno dei due poli può essere compensato da un adeguato sviluppo dell’altro. Se però non si sviluppa nessuno dei due poli, si arriva ad una psicopatologia narcisistica caratterizzata da un senso imperfetto del sé e da una incapacità di tenere un livello stabile di autostima.

PARANOIA E NARCISISMO

Ma come fa il narcisista ad alimentare le sue fantasie onnipotenti e disconoscere la realtà della sua natura fragile e peritura e del suo sé frammentato e destrutturato?

E’ chiaro che per disconoscere la realtà e per adattarla ad un sistema di idee e convinzioni assolutamente idiosincratiche e deliranti, deve esservi un grosso dispendio di energie psichiche, la propria attenzione deve essere interamente utilizzata  per cercare nella realtà dati a conferma della proprie convinzioni onnipotenti e per arginare quei dati che, invece, andrebbero a confermare l’inferiorità e la disgregazione del sé di questi soggetti. Ed ecco allora che accanto all’ atteggiamento presuntuoso, prevaricante ed arrogante di questi individui, troveremmo dei tratti paranoidi che hanno la funzione di mantenere alta l’attenzione sul comportamento degli altri e sulla realtà circostante, per cercare quelle informazioni indispensabili al mantenimento di una fragile autostima e per occultare, contemporaneamente, i dati che la andrebbero ad annientare e disgregare ulteriormente.

Il narcisista ingabbiato da un falso sé, persegue l’illusorietà della predominanza dell’“avere” sull’essere, considerando il successo esibito e l’ammirazione altrui come gli unici scopi della sua vita.  La sua esistenza sembrerà apparentemente in relazione con gli altri, ma internamente solitaria e priva di valori ed ideali. Il narcisista con il passere degli anni sarà sopraffatto sempre più dal terrore e dall’angoscia della morte, della vecchiaia e della malattia che si uniranno ad un vuoto relazionale, ad un’ autostima sempre più carente e ad una sensazione di sfiducia nella vita, d’altronde

cosa diventa un presuntuoso privo della sua presunzione? Provate a levar le ali ad una farfalla: non resta che un verme.”

(Nicolas de Chamfort)

Le cause della dipendenza affettiva: l’attaccamento insicuro – ambivalente alla madre

La relazione primaria madre-bambino rappresenta il prototipo delle future relazioni d’amore. La relazione con le figure genitoriali dell’infanzia condiziona e determina il nostro  modello di attaccamento, ossia il modo in cui ci predisponiamo a livello cognitivo, emotivo e comportamentale, a vivere tutte le relazioni future, comprese quelle di coppia.

L’attaccamento insicuro – ambivalente è caratterizzato da un’ambivalenza di fondo nel rapporto con il genitore, un sentimento di amore e odio. Se la madre ha dei problemi propri, irrisolti, vivrà questa primissima relazione con il figlio in modo ambivalente: ella tema inconsciamente di essere logorata da questo piccolo essere così pretenzioso ed esigente che può manifestare in modo palese e disinvolto i propri bisogni. Quindi da una parte vizierà il suo bambino fino a soffocarlo, ma poi, all’insorgere della sensazione di essere da lui consumata, lo frustrerà bruscamente ed in modo eccessivo. Se la madre vizia in modo esagerato il piccolo e lo soffoca, egli non impara a sapere attendere e non acquisisce la fiducia che dopo lo stato di tensione, dolore e bisogno seguirà la soddisfazione e l’allentamento della tensione. Il bambino apprende un sentimento di sfiducia, diffidenza ed inaffidabilità nei confronti del genitore, a volte è amorevole e disponibile, a volte è inspiegabilmente frustrante, cattivo, assente, distaccato, oppressivo, asfissiante. Egli stesso quando il genitore è amorevole e accudente si sentirà buono, quando il genitore è rifiutante o intrusivo si percepirà cattivo.

L’attaccamento insicuro – ambivalente e relazioni sentimentali

Queste sensazioni di diffidenza, ambivalenza verso se stessi e verso l’altro, si estenderanno nel rapporto con il partner. Anch’egli infatti sarà percepito a volte amorevole, altre detestabile, si sospetterà continuamente di lui, si temerà sempre che l’altro possa interrompere inaspettatamente la relazione o che possa tradire. Per un deficit di autostima e una negativa percezione di se stessi, non ci si sente degni di amore e di cure e si dubita del proprio valore.

I soggetti con attaccamento insicuro-ambivalente sono individui che spesso non si sentono capiti, nutrono costantemente la paura di essere lasciati dal partner o di non essere amati, hanno scarsa fiducia in se stessi e nell’altro. Nelle relazioni affettive sono dipendenti e non riescono a manifestare esplicitamente i propri bisogni perché il fulcro delle loro dinamiche relazionali è il timore della perdita o del rifiuto.

Nel vivere un rapporto di coppia evidenziano grandi difficoltà a causa del loro conflitto  inconscio tra il bisogno simbiotico di fondersi con il partner e l’angoscia che la realizzazione di questa fusione comporta. Da ciò derivano le loro esplosioni di rabbia, le scenate di gelosia e i sospetti sulla presunta inaffidabilità e distanza emotiva del compagno. I loro sforzi di dare vita a relazioni significative sono governati, emotivamente, dal senso della perdita e dall’insicurezza.

Si innamorano facilmente, ma ritengono arduo incontrare il vero amore, vissuto come un qualcosa di alternante e discontinuo. Vivono l’amore come un’ossessione, caratterizzato da alti e bassi emotivi, da una intensa attrazione sessuale e da forti sentimenti di gelosia nei confronti del partner.

 

Problem Solving: quando la frustrazione fa bene

La frustrazione è la condizione in cui viene a trovarsi l’individuo quando è ostacolato nel soddisfacimento dei propri bisogni, o nella gratificazione dei suoi desideri. È una condizione psicologica che si verifica quando un ostacolo impedisce il conseguimento di un nostro obiettivo.

L’esperienza della frustrazione, molto comune nell’esistenza di ognuno, ha un valore formativo importante poiché favorisce la ricerca di soluzioni al problema; tuttavia una condizione costante di frustrazione è nociva in quanto in grado di bloccare indefinitamente un comportamento, generando nel lungo termine un profondo e doloroso sentimento di impotenza.

Seligman (1986) aveva coniato il termine di “IMPOTENZA APPRESA”, che si sviluppa a seguito di numerose e ripetute esperienze frustranti.

Questa condizione psicologica è caratterizzata da:

  • perdita della speranza: l’individuo, a fronte dei fallimenti ripetuti nel raggiungimento di un obiettivo, si convince di non essere in grado di poterlo raggiungere
  • sopravvalutazione dell’ostacolo: l’individuo non solo vede l’ostacolo come ormai insormontabile ma perde anche la capacità cognitiva di “vedere” – in se stesso e nell’ambiente –  le risorse necessarie per fronteggiare la difficoltà.

L’impotenza appresa arriva a strutturarsi come uno stabile sistema di credenze ed opinioni, in base a cui l’individuo, di fronte ad un ostacolo anche temporaneo, sviluppa l’idea irrazionale che non ci sia nessuna risposta risolutrice.

Se numerose esperienze frustranti possono generare patologia, l’assenza delle stesse, invece, può portare al blocco dei tentativi di cercare soluzioni al superamento delle difficoltà. In condizioni ottimali la presenza dell’ostacolo fa valutare delle soluzioni possibili del problema che comportano la possibilità di dividerlo in compiti più semplici, di riorganizzare gli elementi a disposizione, di valutare e scegliere tra varie alternative disponibili. Si aumenta, in questo modo, lo sforzo sia fisico che cognitivo che la persona mette in atto, incrementando le possibilità di successo nel raggiungere lo scopo che ci si è prefissato.

Un individuo che non ha mai avuto esperienza di impedimenti nella realizzazione dei suoi desideri, potrebbe rimanere bloccato nel mettere in atto risposte adattive per superare l’ostacolo e questo a causa della scarsa abitudine a ragionare in termini di “problem solving”, attitudine che si instaura soprattutto a seguito di esperienze frustranti.

La frustrazione è un importante veicolo per giungere alla scoperta di se stessi. L’insoddisfazione dovuta al fatto di accorgersi che non tutti i desideri trovano immediato appagamento, porta alla scoperta della propria dipendenza dagli altri e conduce alla percezione dei propri limiti e dell’esistenza di un mondo esterno sul quale il nostro potere è limitato. L’assenza totale della frustrazione è rischiosa.

Molti genitori di oggi, invece, assecondano in tutto i loro figli ed acconsentono alle pretese e alle richieste più assurde e disparate per evitargli la minima delusione. Essi credono in questo modo di realizzare la felicità dei loro figli, ma in realtà dimostrano di conoscere poco la psicopedagogia e di non essere lungimiranti rispetto alla personalità del figlio che stanno plasmando. I genitori devono capire che anche i “no” aiutano a crescere. I bambini hanno un assoluto e disperato bisogno di limiti, confini e regole che li aiutino nel processo di formazione della propria identità e di comprensione della realtà. Il mondo sociale che il bambino affronterà sarà costellato da esperienze deludenti ed insoddisfacenti che contrastano con le sue necessità. Se fino ad allora al bambino tutto è stato consentito, e non ha mai subito un’esperienza frustrante, non sarà mai in grado di trovare le forze necessarie di fronte ad un insuccesso esterno che per la prima volta gli mostrerà la realtà come ostile e disinteressata ai suoi desideri.

Per essere forte, una persona deve acquisire la tolleranza alle frustrazioni, la capacità di percepire la realtà come essenzialmente indifferente ai bisogni umani e di comprendere che anche le altre persone hanno delle esigenze che non sempre collimano con le proprie, ed anzi, molto spesso colludono.

Talvolta ci si può ritrovare frustrati per la propria incapacità di controllare situazioni che sono probabilmente ingestibili da qualsiasi essere umano, ciò nonostante la saggezza deriva dal considerare le frustrazioni come una parte inevitabile della vita di ciascuno. Una delle esperienze più difficili da affrontare emotivamente è quella del desiderio frustrato, tuttavia le delusioni vanno sfidate con un atteggiamento reattivo ed una mentalità vincente che stimoli il problem solving e la ricerca di alternative per superare gli ostacoli.